Satriano - Cenni storici

Frontespizio della copia dell’Itinerarium Antonini, custodita a Roma presso la Biblioteca di Palazzo VeneziaDomenico Caminiti, in “Soverato nei secoli”, riprendendo in nota l’opera “Calabria “ di Oreste Dito, richiama l’Itinerarium Provinciarum et Maritimum Antonini Augusti, più semplicemente Itinerarium Antonini, risalente al regno dell’imperatore Antonino Pio (138-161 d.C.). Nell’Itinerarium Maritimum vengono fornite le indicazioni relativealle rotte costiere, con l’elenco di tutti i porti, degli ancoraggi e delle altre possibilità di ridosso esistenti lungo il percorso. In base ad esse i comandanti delle navi romane potevano pianificare la navigazione, prevedere soste intermedie o trovare riparo in caso di tempesta. In esso, contrariamente alle speranze del Caminiti, tra le stazioni marittime indicate lungo la navigazione da “Naus” (località presso capo Rizzuto) e “Stilida” (località prossima a punta Stilo), non si fa riferimento ad una Poliporto ma ad un “Caecinum Oppidolum”. Già allora esisteva un insediamento sulla costa, una “piccola città” denominata Caecinum.

Vincenzo Sia, nel suo “Satriano antico Cecino, città della Magna Grecia”, edito nel 1966 e ristampato nel 1996, parla di rinvenimenti casuali di reperti archeologici, provenienti da “tombe rinvenute anni fa (prima del 1966) in contrada Petraro (sulla riva Sud), vicino la foce dell’Ancinale  – prelevate dalla Sovraintendenza alle Antichità”. Riporta anche la notizia, purtroppo senza indicazioni precise riguardo all’ubicazione, della scoperta, nei pressi della confluenza del torrente Turriti nell’Ancinale, quindi già molto addentro la sua lunga valle, di una “piccola necropoli affiorata, saccheggiata e poi letteralmente distrutta da malaccorti trafugatori”. (pag. 19).

Anche Giulio De Loiro, in “Gente nostra – Uomini e donne dalle mani operose, veri protagonisti della storia di Satriano”, edito nel 2009, ipotizza che l’antica Caecinum sia stata fondata sulla riva sud dell’Ancinale, “in un sito poco distante dal mare e posto sul costone a destra del fiume in un’area di 4 o 5 ettari di terreno, che dall’argine del fiume sale verso la collinetta, proprio là dove ora sorge la cosiddetta Torre Ravaschiera … un posto che rimaneva ad una certa distanza dal fiume e in una posizione leggermente più elevata “al fine di “approvvigionarsi per ogni loro esigenza dell’acqua del fiume”, rimanere “al sicuro da eventuali inondazioni” e, infine, perchè vivendo su una piccola altura e distante dall’acqua la popolazione della città rimaneva al riparo dalla malaria (pag. 12).

Come tramandato sia da Plinio che da Pomponio Mela, il Caecinum era uno dei quattro fiumi allora navigabili “in Scylatico sinu” e, la città omonima, posta all’ingresso di una grande e profonda vallata, era in una posizione favorevolissima sia dal punto di vista strategico che economico. Intravediamo, quindi, l’importanza e la centralità di una città, punto focale di scambi e commerci, intorno alla quale gravitavano, sulla costa e nelle vallate circostanti, villaggi e fattorie che con le loro attività, agricole e artigianali, contribuivano alla prosperità del circondario. 

Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476. d.C.) e fino al XI secolo, la Calabria rimase sotto il dominio dell’Impero Romano d’Oriente. Ancora nel VI secolo d. C. Stefano Bizantino, in uno dei tanti frammenti del suo lessico geografico “Ethnika”, indica la presenza, senza precisarne l’ubicazione, di una “Kaikinon, khorion Italicon”, che, per assonanza, è stata associata dagli studiosi alla Caecinum romana. La lontananza geografica e il disinteresse politico ebbero come conseguenza la mancanza di difesa del territorio da parte dell’impero bizantino. Tutti gli insediamenti della costa jonica furono, perciò, saccheggiati e distrutti dai saraceni durante il VII e VIII secolo d.C.. Anche Caecinum patì la stessa sorte e i superstiti della città e delle contrade limitrofe si rifugiarono sulle pendici delle colline retrostanti la valle del fiume Ancinale. In questo periodo si può collocare la nascita e la denominazione attuale dei vari centri che ancora oggi formano il frammentario, purtroppo, tessuto comunale comprensoriale.

La dominazione bizantina favorì l’immigrazione di un gran numero di monaci basiliani, che in terra d’Oriente subivano pesanti persecuzioni. Essi, come conferma lo scomparso giornalista Raffaele Ranieri in “Satriano”, edito nel 2013, fondarono nel nostro comprensorio numerose realtà religiose e produttive che ebbero un rilevante impatto sulla crescita culturale e sulle conoscenze pratiche (soprattutto relative all’agricoltura) delle popolazioni con cui entrarono in contatto. La toponimia delle numerose contrade e località e la presenza di innumerevoli termini dialettali di etimologia greca confermano che il nostro territorio ha innegabili radici nella cultura greca, sia essa ellenistica o basiliana. In Satriano, come documenta il prof. De Loiro nell’opera citata, i monaci basiliani hanno dato vita ad un cenobio in località Sant’Angelo, sulla collina prospiciente la valle dell’Ancinale, allora parte del territorio di Satriano e oggi in territorio di Gagliato, ed hanno edificato il monastero di Santa Trinità di Pesipo, all’estremità a nord del paese, in Contrada Santa Trada (trada da ‘triade’, Trinità). Entrambi gli insediamenti sono andati distrutti completamente.

Portale murato dell’ingresso originario della chiesa di Santa Maria d’AltavillaNel disfacimento politico e istituzionale succeduto alla caduta dell’impero romano, il Papato, sfruttando la sua supremazia spirituale sull’Italia del centro-nord, aveva acquisito, in seguito a donazioni, vasti territori su cui aveva fondando sempre nuovi monasteri. Era riuscito, così, a trasformarsi in potenza politica ed economica e mirava a riportare sotto il suo dominio anche i territori del sud Italia. Dopo aver sconfitto l’esercito papale, a Civitate nel 1053, i Normanni, cavalieri di stirpe molto devota, tennero in “onorevole cattività” il papa, Leone IX, per circa un anno. Al momento della sua liberazione venne emanato un primo concordato di Melfi in cui il Papa prometteva di riconoscere loro il possesso dei territori già occupati e di quelli che avrebbero da allora in poi conquistati in cambio del ristabilimento su di essi dell’autorità spirituale del Papa e della latinizzazione del clero. Questa promessa diventò una vera e propria alleanza con il secondo concordato di Melfi del 1059, in cui il papa, Nicolò II, nominò Roberto il Guiscardo e Ruggero d’Altavillasuoi vassalli. 

Attuale esposizione ad oriente dell’entrata Santa Maria d’Altavilla come è oggiAnche sotto il dominio degli Altavilla Satriano rimase il fulcro del comprensorio, come ben dimostrano i documenti richiamati dal De Loiro (pagg. 21 e segg. op.cit.). Il suo territorio comprendeva vari casali, tra cui gli attuali comuni di Davoli, San Sostene e Cardinale e si estendeva fino ai boschi sopra l’attuale Cardinale, donati da Ruggero d’Altavilla alla Certosa di Serra S. Bruno. L’importanza attribuita dagli Altavilla a Satriano si riscontra nell’intitolazione della chiesa matrice a Santa Maria d’Altavilla, che fu abbellita, negli anni a seguire, da continue donazioni. Essa era stata edificata in epoca bizantina dai monaci basiliani e l’ingresso principale (di cui è visibile ancora oggiil portale murato) era orientato, come tutti gli edifici di culto greco, ad occidente. In ossequio alla politica di latinizzazione delle chiese ed eliminazione di qualsiasi riferimento alla religione greco-ortodossa, Santa Maria d’Altavilla fu ristrutturata dagli Altavilla e l’ingresso principale della chiesa fu aperto sul lato orientale. 

Fontana di Gattì – Stemma della famiglia Ravaschieri-FieschiNon è questo il luogo per una ricostruzione storica (che gli autori sopra citati, peraltro, hanno egregiamente svolto), pertanto basterà ricordare che Satriano divenne,sotto il dominio normanno, residenza feudale col suo bravo castello (completamente distrutto dal terremoto del 1783), e continuò nei secoli successivi a ricoprire una certa importanza politica, fino ad essere eletta, nei primi anni del ‘600 a sede di principato, dapprima assegnata alla famiglia Ravaschieri-Fieschi e passata, nell’asse ereditario, ai Filangieri. 

Torre Ravaschiera Una volta acclarata la presenza di un insediamento risalente alla colonizzazione greca e l’importanza ricoperta da Satriano dall’Impero romano al Regno borbonico, non si può nascondere l’indifferenza, dal punto di vista archeologico e conservativo, e l’incuria, dal punto di vista geografico,economico e ambientale, che hanno caratterizzato le generazioni succedutesi da allora ad oggi su questa minuscola parte del territorio jonico. Solo nel territorio di Satriano non si è riusciti o voluto indagare, ricercare e valorizzare le testimonianze del passato e quelle poche che, a dispetto, sono rimaste in piedi versano in totale stato di abbandono, come nel caso della Torre Cavallara in Contrada Ravaschiera, risalente agli anni del principato dei Ravaschieri-Fieschi.

Costanzo Gianfranco Sarlo