Paolo Orsi in Calabria

Estratto dal Volume: "Il tesoretto di Soverato nei documenti di Paolo Orsi"

Per un breve profilo dell'attività di Paolo Orsi in Calabria (1889-1924)

di Manuela Alessia Pisano

 

«Ché io appartengo ormai alla generazione che tramonta. Ho la coscienza di aver compiuto in un ventennio il dover mio con passione ed amore ad una regione che mi ha dato soddisfazioni spirituali e scientifiche indimenticabili fin ch’io viva. Possa la nuova generazione degli archeologi e studiosi dell’arte, coi più abbondanti mezzi di cui dispone, continuare la modesta opera mia e cogliere nuovi allori, che non le possono mancare.»

Così Paolo Orsi concludeva nel 1927 la Prefazione di uno dei testi fondamentali per la conoscenza dell’architettura bizantina in Calabria -Le chiese basiliane della Calabria- riassumendo in poche righe i motivi che lo avevano condotto a percorrere, in condizioni tutt’altro che agevoli, strade e sentieri impervi di una terraa cui restò sempre profondamente legato. Nato a Rovereto (Trento) nel 1859 , in anni in cui il territorio faceva parte dell'Impero Austro-Ungarico, Paolo Orsi dopo essere andato a studiare a Vienna, si laurea in lettere e completa la sua formazione frequentando la Reale Scuola italiana di Archeologia a Roma, la Scuola d’Arte Classica a Bologna e i corsi di Paleontologiaall’Università di Roma. Vinto il concorso per l’Ispettorato agli scavi e ai Musei di Siracusa, dove si era trasferito nel 1890, fu dal dicembre 1900 al marzo 1901 Direttore reggente del Museo Nazionale di Napoli e dal 1907 Direttore della Sovrintendenza Calabra per gli Scavi  nonché Direttore del Museo nazionale e Sovrintendente agli scavi e ai musei archeologici di Siracusa.Le ricerche giovanili condotte in Italia settentrionale e in special modo in Trentino ,cui avevano fatto seguito una serie di pubblicazioni, avevano contribuito a mettere in luce le potenzialità di questo giovane studioso. Paolo Orsi ricopriva già da alcuni anni la carica di Soprintendente archeologico per la Sicilia orientale, quando il Ministero della Pubblica Istruzione gli affidò la conduzione, in collaborazione con E. Peterson, della campagna di scavo italo-tedesca di Locri Epizephiri che si svolse dall’autunno del 1889 alla metà del gennaio 1890. Ciò che si trovò davanti nel 1889, seppur ad un primo sguardo superficiale, e poco meno di un ventennio dopo, quando rientrò a Reggio Calabria per la conduzione dell’incarico ministeriale, era una situazione tutt’altro che incoraggiante. Molto vi era in termini di potenzialità ma altrettanti erano gli impedimenti legati al contesto: in altre parole al momento del suo insediamento, i limitati margini di apertura di una società fortemente impreparata alla tutela e conservazione del suo patrimonio artistico costituivano un aspetto non trascurabile. Alla luce di ciò, la portata del contributo di Paolo Orsi alla terra di Calabria appare in commensurabile: intuendo le immense ricchezze in termini di risorse naturali, storiche, artistiche ed archeologiche della regione, si adoperò per restituire memoria ad alcuni dei più antichi insediamenti di età preistorica, greca, romana e bizantina.Tra le zone indagate Reggio Calabria, Locri, Rosarno, Bovalino, Monasterace Marina, Gerace Marina, Crotone, Lamezia Terme, Nocera Tirinese, Curinga, Spezzano Albanese, Tortora, Rossano.

La contingenza del catastrofico terremoto e maremoto reggino del 1908 mise subito a dura prova il roveretano che, complice la ricostruzione post-terremoto, dovette subito far fronte al riaffiorare, in più punti del perimetro urbano, di numerose strutture di varia epoca. I fortuiti rinvenimenti del 1911 che spinsero a ricognizioni più sistematiche condotte sino al 1921 ,riportarono alla luce parte della Rhegion greca e della Rhegium Iulium (mura greche, odeon, cippi marmorei). Al 1910 si data, invece, l’avvio delle indagini a Locri Epizephiri –terminate nel 1915- e la scoperta del santuario al colle della Mannella da lui riconosciuto come il Persephoneion, dei celebri pinakes fittili edei Dioscuri, del tempio in contrada Marafioti e, infine, di diverse necropoli indigene protostoriche (Canale, Janchina) e greche (contrada Lucifero). Nello stesso annosi dava inizio all’esplorazione del santuario di Hera Lacinia a Capo Colonna, presso Crotone, mentre al 1911 va ascritto il rinvenimento dell’antica Siberene nei pressi dell’attuale Santa Severina (KR). La subcolonia locrese di Medma , che alcuni studiosi credevano di poter ravvisare nell’area dell’attuale Nicotera, fu identificata dall’Orsitra il 1912 e il 1914 ad ovest di Rosarno (RC), con importanti acquisizioni relative alla fase ellenica (necropoli, monete bronzee, lastricati stradali e resti di antichi edifici). Tra il 1912 e il 1915 nuove importanti indagini furono avviate nella zona dell’odierna Monasterace Marina (RC) pervenendo alla scoperta dei resti della colonia achea di Kaulon, precedentemente identificata con Stilo . Nel 1914 e 1915 ebbero avvio le indagini nella piana di Sant’Eufemia allorché, dopo aver effettuato una serie di ricognizioni topografiche, l’archeologo ipotizzò una localizzazione della colonia crotoniate di Terina nell’area intorno a Santa Eufemia Vetere . Al contempo l’Orsi era impegnato nella perlustrazione dell’area di Nocera Tirinese alla foce del Savuto, alla ricerca del sito della mitica Temesa. Scavi sistematici furono poi condotti nel 1916, 1917 e 1921 nell’area precedentemente esplorata di Hipponium, odierna Vibo Valentia, dove l’archeologo mise in luce parte della cinta muraria greca, in loc. Trappeto Vecchio,resti di un tempio dorico in loc. Belvedere Telegrafo, di uno ionico in loc. Còfino e di un gorgoneion in loc. cava Cordopatrivolgendo altresì uno sguardo alle superstiti testimonianze di architettura medievale e moderna. Nel 1924 effettuando degli scavi nei pressi di Cirò marina, l’archeologo roveretano individuò l’esatta ubicazione di un’altra polis greca, quella dell’antica Krimisa e restituì materiale pertinente al famoso santuario di Apollo Aleo. Pur mostrando una netta predilezione per la messa in rilievo di quelle strutture che potevano, senza ombra di dubbio, documentare la presenza di una città ovvero templi, mura e necropoli, Orsi studiò con altrettanta acutezza le attestazioni di edilizia domestica, che altrettanto efficacemente s’inserivano nell’ampio progetto di ricostruzione storica che aveva in animo di raggiungere. Assai importante, vista l’impossibilità di partecipare fisicamente ad ogni scavo, fu la collaborazione dei valenti Caruso, Finelli, Claudio Ricca, Giuseppe D’Amico–restauratore- nonché dei fidati Luigi Polizzi e Rosario Carta , cui si devono gli indimenticabili apparati grafici ovvero gli accurati disegni a matita e le dettagliate piante, sezioni, prospetti, ineguagliabili istantanee di ciascuno scavo condotto. Sebbene in alcuni casi siano state proposte nuove e diverse linee interpretative dei resti riportati in luce, le indagini del Nostro costituiscono per molti il primo e per qualcuno anche l’ultimo importante intervento di scavo e studio dei materiali, attuato prima dei giorni nostri. Le sistematiche esplorazioni archeologiche compiute da Paolo Orsi in Italia meridionale (Calabria e Sicilia) e nel Trentino oltre ad arricchire i preesistenti nuclei collezionistici, permisero l’istituzione di strutture museali atte a diffondere la conoscenzae favorire la fruizione di beni altrimenti riservati a pochi specialisti. Più specificatamente quelle effettuate nei territori della Magna Grecia incrementarono le già esistenti collezioni statali e quelle del museo civico reggino e confluirono, infine, nell’istituendo Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria. Il prezioso contributo fornito da Paolo Orsi alla tradizione degli studi archeologici, non soltanto locale, in termini di sistematicità e regole oltre che di utilizzo di criteri maggiormente scientifici appare tanto più considerevole se rapportato all’approccio adottato tra la fine dell’800 e i primi del ‘900. La sua ricerca aprì, infatti, la strada a procedure e tecniche di indagine molto vicine ai nuovi orientamenti: sopralluoghi e ricognizioni, scavi stratigraficamente condotti, approfondimenti interdisciplinari ovvero analisi toponomastica, lettura dei documenti epigrafici, studio critico delle fonti letterarie e documentarie poste in stretta connessione con ogni dato tangibile rinvenuto, analisi dei reperti e costante confronto con i più avanzati studi in materia. Significativa dal punto di vista metodologico fu l’attività di documentazione e la pubblicazione dei risultati di scavo, intesa come strumento scientifico di divulgazione. Ogni ritrovamento veniva accuratamente annotato su taccuini che possono essere considerati dei veri e propri giornali di scavo completi di indicazione della zona del rinvenimento e sua contestualizzazione nonché di relativi schizzi e fotografie: da un esame seppur frammentario degli stessi emerge una pari attenzione scientifica rivolta ad ogni reperto archeologico o testimonianza di cultura materiale riportata alla luce, agli elementi ornamentali e a quelli strutturali, una buona capacità interpretativa oltre che di sintesi critica e una apprezzabile dose di onestà intellettuale. I risultati delle scoperte venivano, poi, tempestivamente resi noti al pubblico attraverso il periodico nazionale “Notizie degli Scavi di antichità”, in “Monumenti antichi” editi per la cura della R. Accademia dei Lincei e in pubblicazioni dedicate. Oltre ai resoconti sopraccitati, numerosi altri furono gli scritti (recensioni, segnalazioni, articoli su riviste specialistiche o su giornali, saggi, monografie, volumi, etc…) cui si dedicò e che oltre ad ottenere grande risonanza nel dibattito scientifico internazionale, gli valsero il Gran Premio di Archeologia dell’Accademia dei Lincei. Nei decessi successivi, pur senza tralasciare l’archeologia, la sua attenzione si spostò all’arte bizantina in un momento in cui –complice un certo disinteresse nei confronti del periodo storico- la sua conoscenza era tanto vaga quanto approssimativa. Ne venne fuori un volume che costituisce ancora oggi un caposaldo per la storia degli studi d’età bizantina con particolare riferimento alla Calabria: Le chiese basiliane della Calabria, edito da Vallecchi nel 1929 nella «Collezione di studi meridionali» diretta da Umberto Zanotti-Bianco. In esso trovarono spazio beni architettonici per troppo tempo obliati come la Cattolica di Stilo,soprannominata «piccola gemma dell’arte bizantina», visitata per la prima volta dall’Orsi nel giugno del 1911 ; la chiesa di San Giovanni Vecchio situata tra Bivongi e Stilo e la sua complessa geometria di cupole ; venne ricordata anche la visita di Santa Maria de Tridetti e la constatazione dello «stato miserando del bel monumento» ;Santa Maria di Terreti in provincia di Reggio Calabria i cui resti superstiti, contro ogni logica di salvaguardia, furono nel 1860 destinati dal Comune a cimitero ; il Patirion di Rossano «ridotto ad una larva della sua antica grandezza» ;Sant’Adriano a San Demetrio Corone e in ultimo la scoperta dell’antica città di Siberene a seguito di scavi effettuati nell’area dell’odierna Santa Severina. La riscoperta dell’architettura e più in generale l’attenzione verso i canoni dell’arte bizantina, sollecitò un dibattito teorico che coinvolse e gli specialisti del settore e il mondo culturale italiano, dando un forte impulso alla ricerca storica ed erudita. Attraverso quelle che Orsi chiamava ‘spedizioni di pronto soccorso’ si procedeva, vista l’impossibilità di operare interventi maggiori, al consolidamento delle parti strutturali di quei beni architettonici che versavano in condizioni precarie al fine di limitare i danni. Fu nel corso di questi decenni che Paolo Orsi adombrò l’ipotesi che la gran parte degli interni di codeste chiese fosse costituita da materiale di spoglio e che soprattutto le ‘ruine’ di Calabria, quelle più immediatamente presenti nelle vicinanze, erano oggetto di sistematico saccheggio. L’archeologo roveretano ebbe, in seguito, ripetutamente modo di ravvisare numerosi esempi di questo metodico sfruttamento operato dai bizantini a danno delle ‘miniere archeologiche’ della nostra regione. D’altra parte è lecito supporre, vista la qualità mediocre delle realizzazioni, una mancanza di maestranze specializzate nell’intaglio e nell’utilizzo dello scalpello. Quantunque il campo archeologico debba essere considerato l’interesse di ricerca maggiormente distintivo dello studioso roveretano, ai fini di un’analisi complessiva e maggiormente esaustiva della sua attività è necessario tenere in conto gli altri campi d’indagine che, a vario titolo, lo coinvolsero ovvero la numismatica e la paleo-etnologia, peraltrostrettamente collegati all’esperienza culturale e di studi maturata presso l’Università di Vienna. Ricercatore militante, instancabile archeologo dal carattere schivo e riservato, spesso ombroso, contraddistinto da un’autorevolezza carismatica e da una sorprendente determinazione, Paolo Orsi rimane uno tra gli indiscussi protagonisti della ricerca storico-archeologica a cavallo fra la seconda metà del XIX secolo e la prima metà del XX. Unitamente ad Umberto Zanotti Bianco, conosciuto nel lontano 1911, diede grande impulso all’attività di ricerca e tutela: la loroprofonda relazione amicale e ancor prima il proficuo sodalizio scientifico costituirono una stagione rilevante per l’archeologia calabrese. Il metodo storico-scientifico, di impronta positivista, acquisito alla scuola viennese e quello appreso a Padova aveva garantito all’Orsi una formazione di assoluta avanguardia e aveva fatto sì che «l’archeologia calabrese diventasse archeologia della Magna Grecia» . La sua precoce attenzione e il suo impegno radicale verso problematiche di tutela, mettono ulteriormente inrisalto la modernità del personaggio rispetto ai suoi predecessori. Allorché nel 1907 venne istituita l’autonoma Soprintendenza per il Bruzio e la Lucania, altro non si poté decidere che affidarne la conduzione a colui il quale ne aveva strenuamente caldeggiato l’istituzione . E d’altro canto l’affezione autentica verso una terra tanto difficile e la strenua difesa del suo patrimonio artistico congiuntamente a notevoli capacità tecniche e diplomatiche, avevano garantito il recupero di un considerevole brano di storia artistica patria che rischiava di essere ignorato o del tutto dimenticato e che viceversa bisognava iniziare a tutelare. Quando, infatti, negli anni ’20 del ‘900Paolo Orsi lascia la Calabria, le restituisce la sua secolare storia, la sua cultura e cosa ben più importante i presupposti per una crescita culturale di ampio respiro.