Chiesa di Campo
CHIESA DI CAMPO - CENNI STORICO-ARCHEOLOGICI
La Chiesa di S. Martino, in seguito nota come Chiesa di S. Maria di Campo, costituisce un tipico esempio di chiesetta rurale costruita dai monaci basiliani (ordine di rito Italo-Greco, fondato da San Basilio Magno e diffuso nel Mezzogiorno tra il VI ed il XIII secolo d.C.) per dare un supporto spirituale, ma spesso anche logistico, ai contadini nell’ambito delle attività agricole.
Secondo quanto appurato dagli scavi archeologici effettuati negli anni ’80 su iniziativa del Comune, l’edificioè impiantato sui resti di una fattoria ellenistica risalente al III secolo a.C.
- Per “periodo ellenistico” s’intende l’arcocronologicoche va dal323 a.C., morte di AlessandroMagno, al31 a.C., conquista romana dell’Egitto Tolemaicoconla Battaglia di Azio.
Le cosiddette “fattorie” eranocase magnogreche a tutti gli effetti, con ambienti precisi (abitazioni, stalle, depositi per alimenti) disposti attorno ad un cortile centrale. In genere erano collocate in posizioni strategiche sia per l’approvvigionamentoche per la difesa, ovvero, sulla sommità di colline, vicino a corsi d’acqua (nel nostro caso nei pressi del torrente Salubro) e a strade principali, formando una rete capillare di aziende familiari.
La fattoria ellenistica si distingue per le medie dimensioni, la scarsa presenza di manufatti di importazione e di suppellettili di lusso, la presenza costante di alcune forme ceramiche, quali ad esempio bacini con orlo e versatoio, una serie di pentole da fuoco di varie forme e dimensioni, anfore da vino di tipo “Greco-Italico”. Sebbene nonsi conosca con esattezza illuogo di produzione dei contenitori (presumibilmente insulare), pare certo il legame tra la fattoria ellenistica e la coltivazione della vite, confermata spesso dal rinvenimento di torchi.
La grande quantità di pesi da telaio ritrovati in questi contesti indica anche l’attività casalinga della filatura, svolta dalle donne nelcortile e, di riflesso, la diffusione della pastorizia finalizzata alconsumo di carni ed alla produzione di formaggi e lana. -
All'esterno della chiesa, nel terreno circostante, sono venute alla luce anche altre evidenze archeologiche più recenti, connesse alla vita ecclesiastica e contadina, tra cui un vecchio pozzo-cisterna, usato per la raccolta delle acque piovane e per l'irrigazione dei campi coltivati, ed una serie di sepolture che ospitavano ancora scheletri umani intatti, a testimonianza dell’antica usanza di seppellire i morti nelsottosuolo di edifici sacri.
Alcune delle tombe rinvenute appartengono alla tipologia cosiddetta “a macina”, ovvero deposizioni caratterizzate dall’utilizzo di grosse macine in pietra come copertura, molto in uso in epoca tardo-medievale.
Dal punto di vista storiografico e documentale, le prime notizie si devono ad uno storiografo certosino, che ci informa delle origini basiliane della chiesa, donata nel 1131 ai monaci della Certosa di Serra S. Bruno, che la gestirono per diversi secoli, verosimilmente in connessione con la grangia e le proprietà rurali possedute nel territorio di S. Andrea.
Quando i certosini la cedettero, la proprietà ricadde inizialmente sotto la Baronia di Badolato, per poi passare ad una famiglia di Satriano e, successivamente, ai baroni Scoppa, una delle più antiche famiglie andreolesi, che la ricostruirono in seguito al terremoto del 1783. Proprio la baronessa Scoppa cedette i terreni della località S. Martino alla congregazione dei Padri Redentoristi di S. Andrea, che da allora curano la festa della Madonna Assunta, cui la chiesetta venne intitolata, che si celebra ogni anno a ferragosto.
ARCHITETTURA
La chiesa, che sorge sui resti di una fattoria ellenistica, presenta una pianta rettangolare con orientamento est-ovest (abside - area che ospita l’altare - ad oriente ed ingresso ad occidente) tipico di una tradizione e di una simbologia religiosa molto antica che identifica nel sorgere del sole la rinascita dopo la morte, per i Cristiani la Risurrezione di Gesù.
Nel corso dei secoli ha subito vari rimaneggiamenti, che ne hanno evidentemente alterato la struttura architettonica originaria, sia esterna che interna, come si evince dalle vistose opere di consolidamento murario (muretti di contenimento, “contrafforti”, ecc.) effettuate in occasione dei restauri, dall’intonaco e dalla copertura a capriate lignee e tegoloni.
Esternamente, l’ingressocentrale è preceduto da un nartece, porticato tipico della basilica paleocristiana e bizantina, simbolo della purificazione richiesta ai catecumeni e ai penitenti che non potevano assistere alle funzioni religiose dall’interno.
All’origine, altre due entrate minori erano poste su entrambe le pareti laterali, in prossimità delle finestrelle ricavate solo in epoca molto più recente (la cui luce impedisce d’immaginare l’atmosfera originale, buia e suggestiva, che accompagnava il rito bizantino).
Frutto di lavori successivi e non facilmente databili dovrebbe essere anche la creazione del piccolo atrio interno con annessa, sulla sinistra, una sorta di minuscola “sagrestia” e, sulla destra, un accesso al sottotetto. e tecniche costruttive del nucleo interno originale si rifanno ai metodi più semplici dell'architettura bizantina: i muri, infatti, presentanola classica struttura mista che consiste nell'alternare file di mattoni a pietre di fiume unite con una malta ricavata mescolando calce e sabbia a materiale inerte, generalmente costituito da frammenti di mattoni o da ciottoli usati in quantità abbondante.
Entrando, sulla parete di fondo è ben visibile l’antica abside centrale con ancora integri, lateralmente, i pilastri d’appoggio del primo altare di epoca bizantina che, secondo la tradizione Greco-Ortodossa, si presentava con una serie di arcate affrescate con funzione di iconostasi, ovvero di “schermo” tra i fedeli e il Santissimo, cui aveva accesso solo il sacerdote officiante di spalle.
Una particolarità architettonica che vale la pena sottolineare, in quantosempre caratteristica del rito, èla presenza delle absidi laterali, che risultano rialzate rispetto al piano del pavimento, quasi come fossero nicchie nella muratura.
Durante gli scavi effettuati all'interno della chiesa per il recupero della pavimentazione originaria (che appariva in mattoni di cotto di forma romboidale, sfortunatamente poi smantellata/ricoperta?) sono stati rinvenuti i tre altari settecenteschi in muratura, con una struttura modesta, classicheggiante. Quello centrale èsorretto da due pilastrini scanalati posti ai lati di un pannellosu cui è scolpita, a basso rilievo, una croce di avellana – raggiata - inserita in un piatto circolare.
Al centro dell’unica navata sono disposti, rispettivamente, tre pilastri quadrangolari sullatosud ed un pilastrocircolare su quellonord, la cui collocazione asimmetrica ci impedisce comunque di ipotizzarne una reale funzionalità strutturale rispetto alla chiesa, alla sua copertura o ad eventuali strutture precedenti sulle quali essa era impiantata.
AFFRESCHI
Solo alla fine degli anni ‘80, nell’ambito dei suddetti lavori di restauro commissionati dal Comune, furono rinvenuti i preziosi affreschi bizantini databili tra il XII ed il XIII secolo.
Partendo dall’esterno versol’interno, il primo affrescoè postosull’architrave d’ingesso e raffigura l’Assunzione in Cielo di Maria, cui è dedicata la chiesa, che si presume di fattura abbastanza recente, probabilmente risalente alla prima proprietà della congregazione dei Redentoristi di S. Andrea.
All’interno, gli affreschi ancora conservati e ben leggibili sono pochi rispetto a quelli citati nella letteratura del Leone e di altri autori (perduti per incuria??). Tra questi si evidenziano:
1) All’interno dell’abside centrale si possono apprezzare frammenti raffiguranti i Padri della Chiesa accompagnati da due Diaconi, il primo dei quali (sulla sinistra) è facilmente identificabile con S. Stefano Protomartire, riconoscibile sia per il titologrecoche per i tratti somatici tipici della sua iconografia (volto fine e giovane, privo di barba). La rappresentazione minuziosa delle vesti e dei tratti somatici rivela un dettaglio ascrivibile a maestranze alte, probabilmente non della zona. Nei pressi della figura s’intravedono anche i resti di un mantello crociato che dovrebbe appartenere, probabilmente, a S. Giovanni Crisostomo. L’altro Diacono (sulla destra), dovrebbe essere invece S. Lorenzo.
In alto, lungo la volta dell’abside, altri frammenti di pitture sonostati identificati dagli studiosi come una deisis, ovvero un tipico tema iconografico di origine Cristiano-Bizantina molto diffuso, che solitamente raffigura Cristo che benedice la Madonna e S. Giovanni Battista, ma che può avere diverse rielaborazioni raffiguranti santi della tradizione locale intenti nel medesimo gesto. Allo stato attuale, tuttavia, risulta molto azzardato confermare questa interpretazione, in quanto i resti delle vesti e degli attributi non consentono alcuna identificazione dei soggetti.
Nella zona della piccola abside laterale destra, invece, si distinguono solo le parti inferiori di una serie di figure in processione, verosimilmente di santi, delle quali è particolare notare i calzari a punta, tipici dei paramenti e dell’arte bizantina.
2) Tale “corteo” sembra prolungarsi poi lungo la parete destra (parete sud), al centro della quale si distingue la parte inferiore della seduta di un trono sul quale si ipotizza dovesse esserci la Madonna ormai Assunta in Cielo. Gli studiosi parlano di una vera e propria koimisis, ovvero il tipico soggetto bizantino della “Dormizione” ed “Assunzione” della Madonna ma, allo stato attuale, della presunta “Dormizione” non rimane alcuna traccia.
Infine, sulla medesima parete, ècollocata una vera e propria “chicca”:si tratta della rappresentazione di scene di vita di S. Marina d’Antiochia, ribattezzata in Occidente S. Margherita, tra le quali spicca l’episodio incui la Santa viene inghiottita da un drago, dalla cui pancia riesce comunque ad uscire, diventandocosì “protettrice delle partorienti”.
A sinistra (parete nord), non si palesano tracce significative. Qualche altro piccolo frammento di pittura è ancora visibile sui monconi dei pilastri e sull’architrave interno dell’ingresso, senza tuttavia fornire informazioni significative sull’identità dei soggetti rappresentati.
Ad oggi, in mancanza di ulteriori ed auspicabili approfondimenti, possiamo solo dire che questo schema iconografico rappresenta, nel suo insieme, un esempio di “pittura liturgica” tipica del rito Bizantino di XII secolo, ossia un tipo di raffigurazione volta a sottolineare sia la funzione architettonica degli ambienti decorati, che la loro “destinazione d’uso” rituale (processione di santi presso le absidi laterali, presenza dei diaconi nell’abside centrale, ecc.)
Dalle figure emerse, inoltre, potrebbe ipotizzarsi anche un programma preciso di iconografia agiografica - raffigurazioni celebrative di santi - come ampiamente attestato in numerosi contesti dell’Italia meridionale (specialmente in Puglia) per lo stesso secolo, e come confermano i confronti segnalati anche per la chiesa di S. Adriano, a S. Demetrio Corone (CS).
Eliana Iorfida