L'antico monastero di Sant'Antonino

In Calabria, a partire dalla metà dell’ VII secolo e soprattutto nel periodo della cosiddetta “seconda ellenizzazione”, tra la seconda metà dell’VIII e l’XI secolo, si assiste ad un notevole incremento, in ambito rurale ed urbano, d’insediamenti monastici, piccole chiese, oratori, grotte eremitiche. Tali strutture attestate nelle fonti agiografiche con una terminologia molto varia: monasteriòn, koinòbion, kellìon ed altri ancora.

La loro capillare distribuzione sul territorio è ancora oggi documentata non solo dai numerosi resti esistenti, sebbene spesso ridotti allo stato di rudere, ma anche dai toponimi legati ai nomi di santi.

Si può documentare che la Calabria nel XII sec. fosse piena di monasteri greci e latini, piccoli e grandi; per questo motivo molti storici definirono la Calabria medievale come una vera Tebaide.

Si può dire quasi con certezza di trovarsi, in località Sant’Antonino, di fronte ai resti di un monastero posto sulla montagna di Davoli ad un’altezza di circa 1100 metri. Sicuramente la posizione ascetica e panoramica a ridosso di un monolite in granito di grandi dimensioni, fu luogo prediletto per molti monaci e pellegrini, in cerca di pace e solitudine per sentirsi sempre di più vicino a Dio.

Con molta probabilità le origini del monastero di Sant’Antonino sono legate alle controversie religiose, derivate dell’Iconoclastia, scatenatosi in Oriente nel 717 sotto l’imperatore Leone III (detto l’Isaurico). La parola Iconoclasia designa propriamente l’azione di "rompere immagini": il movimento iconoclasta sorge infatti dapprima come reazione contro l’adorazione e il culto delle immagini sacre; in seguito contro certe pratiche giudicate superstiziose, come quelle di accendere ceri e bruciare incenso; infine contro il culto della Vergine e dei Santi. Non solo motivazioni religiose al centro del movimento iconoclasta ma anche scelte politiche: era molto pericolosa la continua crescita del numero dei monaci e di monasteri, del loro potere e della loro ricchezza. 

Fu Leone III che prese ufficialmente posizioni contro le immagini; suo figlio Costantino V fu ancora più violentemente iconoclasta. Iniziò così la migrazione dei monaci da Oriente verso la Calabria, che durò circa tre secoli. E così che il monachesimo di Calabria si popolò di un’infinità di figure, uomini umili e colti.

È in questo quadro storico che s’inseriscono le origini del monastero di Sant’Antonino. Il nome Antonino ricorda la figura di S. Antonio Abate, Sant’Antonio il Grande (251 – 357 d.C.) eremita egiziano, considerato il fondatore del monachesimo cristiano e il primo degli abati.

Dell’antico monastero sono rimasti i ruderi sparsi qua e la intorno al monolite granitico. Non si può stabilire con certezza storica l’anno in cui fu costruito e frequentato; comunque certa è l’esistenza, lo testimoniano i resti materiali, le tracce dei muri perimetrali e qualche documento scritto. Anticamente era chiamato “monastero di S. Maria di Focioo (o Focà), o Vergine di Pietra Santa. Doveva trattarsi di un ampio complesso edilizio, situato su una vasta area attorno alla pietra. A pochi chilometri di distanza, precisamente a Torre di Ruggero, il monastero Basiliano “ad Petram xauxan” in seguito detto del “cucco”. Molto probabilmente qui passava una via di comunicazione che collegava, per vie montane, i paesi interni.

L’antico monastero di Sant’Antonino venne ad essere distrutto per ben due volte: la prima volta nel 1716, ricostruito e perfezionato e nel 1783 cadde di nuovo a causa del sisma. Venne ristrutturato nel 1796. Si trattò in seguito di un piccolo monastero, composto da 6 celle e dalla Chiesa. Il Tucci scrive così: “il nuovo ospizio eretto nel 1716 e perfezionato dal Ven. Antonio da Olivadi; cadde nel sisma del 1783. Il marchese Fuscaldo ordinò di ricostruirlo nel 1796 ma nulla si fece; vi erano 6 celle e salvava la vita a molti pellegrini: era il S. Bernardo di Calabria posto fra giogaie montuose………”

Franco Pittelli