Palermiti - cenni storici
Palermiti, cenni storici:
Alfonso Molea
È un piccolo centro collinare a ridosso del comune di Squillace. Volge lo sguardo sulle vallate antistanti fino a godere delle glauche acque dello Jonio donde arrivarono i primi coloni che diedero inizio alla civiltà magnogreca.
Il territorio si estende su una superficie di 18 Km2, parte dalle amene colline sottostanti e arriva alle fresche pendici delle Serre.
Circondato da ombrosi castagni e argentee cime di oliveti gode di un clima mite, benefico alla vegetazione e salutare per l’uomo. Sono questi gli aspetti che favorirono, intorno al 1300, il sorgere dei primi insediamenti sulla collina Malatimi, primo nucleo abitativo di Palermiti.
Da allora, lentamente, quel piccolo centro si è sviluppato sottostando ai diversi feudatari, che per tutta l’Epoca moderna si avvicendarono sotto il dominio degli Aragonesi e degli Spagnoli. Si parla degli Striverio, dei Marincola, dei Borgia e dei Di Francia. Queste famiglie i cui possedimenti si espandevano su diversi territori regionali non misero mai piede nelle nostre terre e ne delegarono la gestione a dei signori di fiducia. A loro volta, questi assegnavano, dietro versamento di tributi, appezzamenti di terre a piccoli proprietari e contadini che restavano così vincolati ai loro signori.
Per lungo tempo, oltre tre secoli, le popolazioni calabresi rimasero assoggettate sopportando spesso angherie e soprusi. Decenni non certamente felici per il Meridione, per la Calabria in particolare, perché alle vessazioni dei baroni si aggiungevano le calamità naturali come la peste, i terremoti e le continue guerre tra le monarchie di Spagna e di Francia che devastarono il territorio per avere il predominio sul Napoletano. Queste guerre, molto onerose, gravavano sulle popolazioni costrette a pagare in vite umane e con esosi tributi anche i costi per il mantenimento delle truppe.
I Viceré di entrambe le casate concentrarono soprattutto su Napoli i loro interessi, così fece pure la nobiltà locale che abbandonava la provincia per godere dei privilegi della corte.
Questa concentrazione di interessi sulla capitale penalizzava duramente la periferia del Regno che abbandonata a se stessa e privata di ogni autonomia, non poteva godere dei cambiamenti e delle innovazioni di cui l’Epoca moderna era foriera nel campo del pensiero, delle arti e della scienza. La provincia rappresentava solo un semplice serbatoio di risorse e di sfruttamento quale rendita parassitaria di quei signori spesso in combutta tra loro e schierati ora con l’una ora con l’altra casa regnante.
Così, il Sud Italia che nell’antichità era stato faro di civiltà, dai Normanni in poi, andò sempre più emarginandosi, incastonato in un sistema feudale in cui il potere arbitrario dei signori prevaricava su ogni forma di diritto. Ciò impediva al Paese di aprirsi alle tendenze innovative che l’Umanesimo e il Rinascimento diffondevano nel resto d’Italia e d’Europa.
È da questo stato di fatto che scaturirono le prime forme di brigantaggio e di rivolta come quella che nel ‘600 vide a capo fra Tommaso Campanella contro il governo spagnolo.
A metà Settecento, poi, il Principato di Squillace, di cui Palermiti era casale, passò ai De Gregorio di Messina, anch’essi intenti a curare i loro interessi economici e politici presso la corte di Napoli. Ma, nel corso degli anni, pur nelle diverse difficoltà, quella primitiva comunità di Malatimi, formata da qualche centinaio di persone, lentamente si sviluppava e tra il Cinque e il Seicento avviava delle discrete attività agricole e artigianali.
Il Settecento che fu un’epoca abbastanza fiorente per l’economia e la cultura europea, non lo fu altrettanto per la Calabria, tra l’altro, flagellata anche dal terribile terremoto del 1783.
Questo cagionò come in tutti i paesi anche a Palermiti danni ingenti sia alla popolazione che alle abitazioni, ne risentì notevolmente la Chiesa di San Giusto che venne distrutta, ma la popolazione non si arrese e lentamente nel corso di un secolo ne edificò un’altura, intitolata a San Nicola Vescovo più vicina al centro storico. Sono stati anni duri e difficili, ciò nonostante il paese, nel travaglio d’una economia rurale, riusciva a riprendersi e nel 1793, quasi a fine secolo, raggiungeva i 1.401 abitanti. Si formava nella comunità un ceto, medio-piccolo, di artigiani, commercianti e proprietari che andava sempre più crescendo fino a costituire un ristretto nucleo di famiglie benestanti.
Sono gli anni in cui, con l’istituzione della Cassa Sacra del 1784, i beni ecclesiastici espropriati agli Enti religiosi furono acquisiti dai cosiddetti “nuovi signori delle terra”, così vennero chiamati, che contribuirono a cambiare l’assetto economico sociale e il tessuto urbano delle popolazioni.
Nel corso del Settecento si affermavano in Palermiti le prime famiglie borghesi i: Canistrà, Conforti, De Aloisis, De Notaris, De Truglia, Jannini, Jannoni, Megali, Tavano, Turrà e Valentini che per tutto l’Ottocento formarono il nuovo ceto sociale, nerbo dell’economia rurale.
Alcune di queste famiglie nei decenni successivi scomparvero dal paese, altre diedero vita ad una ristretta cerchia di professionisti ed i loro epigoni arrivarono a rappresentare il comune fino alla prima metà del Novecento.
Le sorti del Regno non cambiarono di molto quando nel 1734 i Borboni subentrarono agli Spagnoli, con Re Carlo III, sul trono di Napoli. Si mossero sulla stessa scia dei precedenti sia nel governo dell’amministrazione pubblica che nella gestione della proprietà fondiaria, punto dolente, questo, dello sviluppo e dell’economia del Sud.
Il periodo napoleonico con l’insediamento di Giuseppe Bonaparte a re di Napoli (1806-08), grazie ai provvedimenti legislativi sull’eversione della feudalità, cominciava a dare i segni del cambiamento, ma fu di breve durata e con la Restaurazione (1815) e il ritorno dei precedenti Sovrani, dopo la caduta di Napoleone, furono anche ripristinati vecchie modalità di gestione e antichi privilegi.
Intanto, nel 1807 i Francesi con la riforma dell’ordinamento amministrativo designavano Palermiti come ‘Luogo’ del circondario di Gasperina, ma, subito poi, col ritorno dei Borboni, rientrava di nuovo nella giurisdizione di Squillace. Era, comunque, questo un segno dell’importanza che lentamente la comunità palermitese stava acquisendo.
Il contributo della Calabria al Risorgimento Italiano non è da sottovalutare e non solo per la presenza ed il passaggio di Garibaldi in Calabria, ma per il forte bisogno di riscatto e d’indipendenza dimostrato dalle attività clandestine di numerose Logge e Vendite carbonare operanti e ‘promotrici di libertà’ in tutto il territorio regionale.
In merito al contributo dei Palermitesi ai moti e alle lotte per l’indipendenza riporto un passo dello storico Luigi Izzo che scrive:
“Ai moti del Risorgimento parteciparono: Francesco Aiello; don Pasquale Apa; Fortunato Bagnati; don Giuseppe Conforto; Giuseppe Gullà; Francesco Loiacono; Vincenzo Marullo; Rocco Sestito; Francesco Truglia; Francesco Valentini.”
Nel paese sussistono ancora le tracce di qualche antica e benestante famiglia, tracce documentate da ciò che resta dei loro palazzi coi portali in granito, i cui discendenti sono quasi scomparsi dal luogo avendo possedimenti in altri territori della provincia.
Bisognava aspettare il secondo Novecento e la proclamazione della Repubblica per assistere ad un cambiamento più radicale dell’economia e della società e affinché l’evoluzione e la crescita interessassero tutti gli strati sociali della popolazione.
Furono gli anni della ripresa e dello sviluppo del Paese (boom economico), quando nel dopoguerra le riforme legislative favorirono una maggiore partecipazione dei cittadini alla vita sociale apportando miglioramenti sia in campo materiale che culturale.
Anche Palermiti fino agli anni ’70 godette di questi benefici, la popolazione usufruì di maggiori servizi, crebbe l’occupazione e il tenore di vita si elevò notevolmente. Oggi, purtroppo, come tanti altri comuni della Calabria, anche il nostro centro risente dei colpi inferti dall’emigrazione, dalla quale inizialmente godette di pregevoli rimesse di denaro, ma andò poi gradualmente perdendo il suo vigore a causa del lento e progressivo spopolamento.